mercoledì 29 luglio 2009

San Vito Lo Capo. Ieri e oggi, il cous cous e il faro. Dei buoni motivi per amarla.



Ero incerta se scrivere un post su San Vito lo Capo, perchè pur amando tantissimo questa bellissima località, avendone ricordi di infanzia piacevolissimi e recenti frequentazioni, preferisco generalmente raccontare di luoghi meno noti al pubblico e meno turistici, anche perchè per una mia personale indole, di solito rifuggo dalle località (soprattutto marittime) molto frequentate, dai lidi attrezzati con lettini e ombrelloni, dalle spiagge libere dove per conquistare il tuo metro quadro di spazio per stendere il telo mare (che qui chiamiamo tovaglia, sarà per il chiodo fisso del cibo...), devi lottare contro migliaia di persone e rischiare di trovarti il piede del tuo vicino a pochi millimetri dalla faccia, dai locali dove bisogna fare la fila per entrare, dalle viuzze affollate dal passeggio, dalla musica rimbombante etc.

Insomma, da spirito selvaggio, solitario e forse un po’ nevrotico, scelgo altri lidi, quelli meno conosciuti, magari poco attrezzati ma più “naturali”, meno intaccati dall’intervento umano, dove al limite bisogna lottare contro irti scogli, traversate a piedi, acque congelate, servizi inesistenti (certo c’è sempre un motivo per cui le moltitudini disertano un luogo...). Inoltre visto che le guide di tutto il mondo descrivono benissimo quelle località siciliane ormai famose, come San Vito, Taormina, Capo d’Orlando etc, preferisco consigliare anche agli ospiti del nostro b&b, dei luoghi alternativi e meno noti dove respirare l’essenza della Sicilia.


Cosa mi ha fatto allora desistere dalla tentazione di tacere dinanzi a San Vito?
Ci sono degli aspetti che mi colpiscono di questo piccolo centro che ha conquistato il cuore di tanti turisti occasionali e assidui frequentatori. Ci sono dei ricordi che mi legano fortemente a questa località. C’è uno splendido faro che mi induce a sogni e immaginazioni ( e grazie al blog Le Franc Buveur dove ci sono le foto di tanti bellissimi fari ho tratto ulteriore ispirazione).


Ci sono dei prodotti alimentari a cui non riesco assolutamente a rinunciare quando approdo a San Vito e che poi sogno e desidero per tanto tempo.


Allora parlerò di questi aspetti.

Capitolo 1)ricordi.

Il mio primo approccio con San Vito avviene quasi trenta anni fa, a seguito della mia famiglia. Avevo appena quattro anni. I miei genitori avevano scoperto questo luogo anni prima per caso, allora non era affatto noto, era solo un paese di pescatori, privo di turisti, di bagnanti, di Hotel, bed and breakfast e ristoranti.
Un pescatore dal simbolico nome “Cristoforo” li fece alloggiare in una casa di paese, dopo aver fatto “sloggiare” una vecchia zia. Quando invece vi giungemmo insieme ai nostri carissimi amici, questa volta a offrirci la sua casa fu una vecchia nonnina, “Nonna Vita”.

Alcune immagini di infantili vacanze. Casette bianche adornate da buganvillee e gelsomini.


Un tubo di gomma e dei bidoni per farci la doccia all’aperto. Le porte delle case coperte da tende a strisce verticali bianche e blu. Donne anziane che sedute sull’uscio di casa “incocciavano” i grani di cous cous. La visione, ottenuta dopo lotte estenuanti, in un’arena (era uno dei pochi luoghi di divertimento esistenti) del film Superman (ma soprattutto il mio lungo sonnellino, avevano ragione gli adulti...). Angelo dell’Algeria, ovvero un giovane uomo vestito di abiti larghi e bianchi, con cui le famiglie fecero amicizia, che giocava amorevolmente e pazientemente con noi bambini, di cui so solo che viveva in Algeria e che ci diede una bellissima rosa del deserto.
Una spiaggia bianchissima, il mare caldo e trasparente, lunghe passeggiate verso l’orizzonte e l’acqua sempre bassa. Un gioco abituale, preparare il cous cous con la sabbia fingendo di essere una di quelle anziane col fazzoletto in testa. Le gite serali di quattro bambini sopra una specie di trattore arancione usato per pulire la sabbia, guidato da un gentile uomo. Il sogno non realizzato di trasferirci lì “per fare fortuna”, immaginando che quel paese un giorno sarebbe diventato meta turistica.


Capitolo 2) San Vito oggi

Sono tornata a San Vito Lo Capo diverse volte, con amici, in famiglia, con Massimo.
Ci sono diversi aspetti che mi colpiscono.

La spiaggia è sempre la stessa, bianchissima, adornata da palme (prive di punteruolo rosso),


pulitissima, è solo molto affollata e piena di ombrelloni, lettini e massaggiatrici ambulanti dotate di olio Johnson e spugna. Il mare è uguale, azzurro come una piscina, limpido come se l’acqua sgorgasse da una fonte miracolosa, tiepido sempre (quindi sarebbe preferibile andare a Giugno o Settembre per non trovare tanta gente), per giungere nel punto in cui “non si tocca” bisogna camminare tantissimo (è ideale per i bambini).


Il paese è cambiato molto, ci sono sempre le casette bianche “inquacinate” (coperte solo di calce bianca) adornate da profumatissimi fiori e tende a strisce,


e le viuzze, ma adesso la maggior parte di quelle case, almeno d’estate sono “case vacanze” per turisti e b&b. Ci sono infiniti bar, ristoranti, pizzerie, locali di vario genere, internet point, self service, negozi di abbigliamento, costumi, lozioni per sole e dopo sole, scarpe e attrezzature per il mare, prodotti tipici, etc.

Bancarelle di ambulanti che colorano le vie con tessuti velati e scintillanti, e vecchie e ricche signore che passeggiano addobbate con quei camicioni trasparenti e arabeggianti e le collane di turchesi, come fossero arrivate direttamente dal nord Africa.

Ci sono eventi di vario genere, la scelta è vasta, dal Jazz alla musica pop, presentazioni di libri, mostre di foto e quadri. C’è tanto da fare, soprattutto passeggiare.

Ma ciò che mi piace di San Vito, o meglio dei suoi abitanti è la mentalità, la lungimiranza, il senso civico. Dispiace dirlo, ma quando si giunge in questo luogo, guardandosi intorno ci si dimentica di essere in Sicilia, non per la bellezza dei luoghi che è tutta tipicamente siciliana, ma per la pulizia.


Questa abitudine ha radici antiche, le signore anziane ogni mattina spazzavano e lavavano non solo l’interno della propria casa, ma anche le stradine su cui si affacciavano, con secchi di acqua profumata di sapone, e continuano tuttora a farlo, adesso aiutate anche dai camioncini che dotati di spazzolone e spruzzi d’acqua lavano, durante la notte, tutto il paese. C’è anche un uomo che dotato di forchettone toglie ogni pezzetto di carta ed anche le cicche delle sigarette, che sono già poche, perchè anche i più maleducati non sporcano sul pulito.

La spiaggia viene lustrata ogni sera, quindi niente sacchetti, bucce di angurie, pannolini, bottiglie di birra, e soprattutto la spiaggia è illuminatissima tutta la notte, per la serie che la sicurezza non si fa con le ronde, ma permettendo che la gente possa appropriarsi pienamente dei luoghi in cui dimora.


Al centro di San Vito non si possono parcheggiare le auto e non si circola, però ci sono parcheggi gratuiti e bus-navetta ecologici che li collegano al centro, tutto quindi è libero, pulito e iperorganizzato. A San Vito tutti i cittadini vivono grazie al turismo, avendo capito che l’amore e la cura di un luogo può anche essere fonte di guadagno, tutte le case sono curate, coperte di fiori etc, la tradizione delle anziane cuoche di cous cous è diventato ulteriore business, adesso quella semola goduriosa condita da sugo al pesce è il simbolo del paese, ne fanno anche un festival, ma non solo, ci sono anche le sagre del palamito e di altri pesci.
Insomma quegli ex-pescatori hanno capito proprio tutto, unici forse in Sicilia, ed ora si ritrovano a vivere in una perla meravigliosa, linda, civile, ed a guadagnare tanto e tutti.
Per questo penso che San Vito meriti di essere citata, sarà turistica, affollata e commerciale, ma è molto civile, anche io amante della solitudine mi sento a mio agio fra gente che rispetta il luogo in cui vive, i turisti (anche i “palermitanazzi doc” a volte temuti perchè un pò vandali e poco civili, sic!) si adattano ed il clima è di grande serenità e aggregazione, poco stress e niente traffico.

Capitolo 3) il cibo


La mia passione è il cous cous al pesce, cibo tradizionale di San Vito e di tutta la zona del trapanese. E’ rigorosamente non precotto, ossia preparato a mano dalle maestranze del paese, incocciato e cotto al vapore nelle cuscussiere, condito con mandorle tritate e da uno squisito brodo di pesce o crostacei. Adesso è uno dei simboli di San Vito, a Settembre c’è il festival internazionale, si può gustare il cous cous proveniente da tutto il mondo, io lo apprezzo in ogni sua varietà ma quello al pesce è sempre nel mio cuore, sono riuscita a scovarne uno simile anche a Palermo in una piccola gastronomia d’asporto che si chiama Kus Kus (Piazza Virgilio) i cui gestori sono di origini trapanesi.
Un' altra specialità sono le busiate, un tipo di pasta fatta in casa a forma di spirale, che contiene bene il sugo.


Infine il dolce, le cassatelle, che sono dei ravioloni colmi di ricotta e fritti.

Capitolo 4) Il faro


I fari mi suscitano sogni di grande serenità. Immagino di vedere il mare infinito dall’alto, immagino le scale a chiocciola per salire su quelle torri, immagino la solitudine e la possibilità di pensare aiutati dal mare a volte calmo ed a volte nervoso, immagino le lunghe traversate delle navi, il rischio di arenarsi, immagino quel fascio di luce affascinante che illumina il mare e le coste...


A San Vito il faro è un altro simbolo, si trova a un chilometro dal centro abitato (una breve passeggiata), immerso nella brulla campagna che sfocia sul mare roccioso. Fu costruito dai Borboni intorno al 1850 e poi negli anni a seguire ristrutturato e modernizzato, è bianco come la luce che proietta, una luce che indica la via, la cui assenza causò naufragi e incidenti ai nostri progenitori e conquistatori romani, fenici, arabi etc.
Chissà chi è oggi il guardiano di quel faro, immagino un vecchio e canuto uomo barbuto con cappello da marinaio, un pò eremita, un pò sognatore, non sarà sicuramente così, forse leggo troppi romanzi!


A San Vito c’è altro e altro ancora, c’è la riserva dello Zingaro, ci sono le coste rocciose e più solitarie, c’è la tonnara e una Chiesa bellissima,


basta consultare le guide più famose per trovare notizie e indicazioni.
Insomma quello che io ho descritto è San Vito visto da una “scettica”, un San Vito che malgrado si allontani dal mio modo di essere, amo e che consiglio a tutti, soprattutto alle famiglie con bambini.

Piccoli consigli:
Ristoranti per il Cous Cous: “La gna Sara” e “I sapori di Sicilia”.
Self service “Crick and Crock”. Bed and breakfast “Acqua di mare”.

venerdì 24 luglio 2009

Post-Festino, nel senso di dopo-festino, e “Il cozzaro” del Foro Italico.

foto di Jan-Luc Moreau

Il festino è già passato da qualche giorno, ma la Santa sembra essere un po’ incavolata con i palermitani. Sarà perchè il Sindaco si è rifiutato di salire sul carro e pronunziare le fatidiche parole “Viva Palermo e Viva Santa Rosalia”, creando polemiche tra i politici dell’opposizione, tra la cittadinanza, dai senza casa ai senza lavoro, fino a Monte Pellegrino

foto di Jan-Luc Moreau

da dove la santuzza osserva sdegnata la sua bellissima città lasciata andare alla deriva, come il suo carro che simbolicamente è rappresentato da un vascello.

foto tratta da Rosalio

Il festino è finito e a Palermo quando qualcosa finisce si usa dire con ironia “Agneddu e sucu e finiu u vattiu” (agnello e salsa ed è finito il battesimo), tutto infatti è rimasto come prima a parte il Foro italico, dove ancora ci sono le grandi bancarelle di calia e semenza, abiti e oggetti di vario genere, e quel vascello con le sue assi tutte d’oro da cui si erge la bella Rosalia tutta d’argento, parcheggiato in mezzo ai venditori di panini imbottiti.

Qualche giorno fa, abbiamo fatto una passeggiata insieme ai nostri amici di Osteria Nuova (Lazio), loro ormai conoscono bene noi, la nostra casa (il nostro b&b) e soprattutto Palermo. Hanno visto tutte le cose tradizionali, dalle Catacombe dei Cappuccini alla Cappella Palatina, la Cattedrale, il Teatro Massimo e il Politeama, la Kalsa, La Martorana, Monreale, Sferracavallo etc.
Hanno un debole per l’Antica Trattoria Il Monsù e il suo gentilissimo proprietario Giuseppe, che ci rimpinza sempre di pasta ca ‘nciova (acciuga), pasta con sarde, alla norma, caponata di melanzane, grigliate di pesce e come dice Giuseppe “il dolce”, ovvero le frittura di calamari.


Ma il giorno che i nostri amici sono tornati a trovarci il Monsù era chiuso ed il tempo per girare era poco, quindi abbiamo optato per una cenetta dall’atmosfera “palermitana d.o.c.”, più che altro direi “in un posto tascio (termine intraducibile, potrei dire kitch), ma molto molto buono”, ci vuole solo un pizzico di coraggio e tanta curiosità.

Il luogo in cui è ubicato è il Foro italico, all’angolo con Piazza Kalsa, e visto che non ha un nome, perchè non è nemmeno un vero e proprio ristorante, lo abbiamo battezzato “il cozzaro”, trattasi infatti di un tratto di marciapiede occupato da una serie di tavolini e sedie di plastica, da bidoni di plastica colmi di acqua, bombola a gas, fornellino, ripiano e un’infinità di sacchi colmi di frutti di mare (soprattutto cozze). I gestori, dei veri palermitanissimi doc, cucinano all’aperto (non so come sono messi a livello di licenze...ma insomma a guardare...) hanno un televisorino attaccato a un palo della luce con cui si allietano tra una comanda e l’altra. Le tavole sono fornite di tovaglia di carta, piatti, bicchieri e posate di plastica.

Abbiamo mangiato le cozze scoppiate, servite da una corpulenta signora, in una grandissima bacinella di plastica blu, accompagnata da una vuota di colore rosso “per le scorcie (buccie)”. Erano veramente buone! Poi una spaghettata alle cozze (la loro specialità però è ai ricci di mare) con un sughetto incredibilmente buono e pepatissimo a condire gli spaghetti veramente al dente! e per finire un polpo vugghiutu con limone, tenero al punto giusto. La signora ci ha proposto anche i “muccuna” io, che fungevo da traduttrice simultanea per i nostri amici, ho spiegato che si trattava di lumaconi di mare! Per questa volta eravamo a posto così. Il tutto condito da vino, birra e acqua, atmosfera da vera città di mare e folklore palermitano, ad un costo di circa 15€ a persona, non male! E soprattutto nessuna conseguenza spiacevole, se non un bel ricordo di tante risate!

Ora che abbiamo “testato” direttamente su di noi, possiamo consigliare questo posto anche agli ospiti del nostro bed and breakfast, la loro incolumità sarà garantita, come pure il portafogli, ma soprattutto il palato ne rimarrà soddisfattissimo!
Poi una passeggiata vicino al bellissimo prato del lungomare per smaltire il tutto, la “visione” della santuzza sul suo carro-relitto, il profumo del mare, tutto accompagnato da un coppitello di immancabile calia e semenza (che in dialetto romano, ho scoperto chiamarsi “bruscolini”), con chiacchierata col semenzaro incuriosito dall’accento “continentale” dei nostri amici! Una vera serata da palermitani... e l’indomani pane e panelle vicino alla stazione centrale, very very good, costa solo un euro e cinquanta centesimi, a Palermo per fortuna si può ancora mangiare e bere con appena tre euro! Buona vacanza ragazzi e a presto!

Mi dispiace non avere le foto di questi brevi giorni, ma abbiamo scordato la macchina fotografica, per chi cerca il cozzaro, è facile trovarlo, si trova proprio accanto al...mulunaro!!!

sabato 11 luglio 2009

"Viva Palermo e Viva Santa Rosalia". Il 385° Festino di Santa Rosalia a Palermo.



Per Palermo si avvicina quello che è l’evento più importante in assoluto, la festa per eccellenza, un momento che unisce tutti, il momento di divertimento e devozione, l’unione tra sacro e profano, il concentrato della palermitanità, insomma il mitico Festino di Santa Rosalia, ovvero la “santuzza” protettrice di Palermo.

Il festino malgrado il suo nome (quasi un vezzeggiativo) è veramente una festa in grande, alla quale nessuno rinuncerebbe, nemmeno in un momento di crisi, anzi a maggior ragione, perchè la santa potrebbe intercedere per lenire gli effetti di questa piaga, come fece durante la peste. Ma a ben guardare la situazione di Palermo e Sicilia, tra le “tre piaghe” esplicitate in Johnny Stecchino (l’Etna, la siccità e il trrraffico) e quelle sottintese... la “santuzza” ha proprio un bel da fare, forse un compito più arduo che lo sgominare la peste del 1624.



A Palermo la santa si festeggia dal 1625, anno successivo alla grande peste. Nessuno riusciva a sconfiggerla, né la scienza dell’epoca, né i santi fino ad allora chiamati in causa, quando accadde che a un saponaio (Vincenzo Bonello) a cui era morta la moglie, apparve in sogno Rosalia, una giovane eremita vissuta intorno al 1100 (era morta il 4 settembre del 1160), che gli indicava dove trovare le proprie spoglie (nella grotta di Monte Pellegrino, dove adesso c’è un suggestivo santuario dedicato alla santa), e gli chiedeva di portarle in processione per Palermo per fare cessare la peste. Tale operazione venne eseguita dall’arcivescovo del tempo (avvisato dal saponaio) ed ebbe risultati positivi, la peste finì e da allora Palermo non dimenticò la propria protettrice.



Cominciò ben presto la tradizione dell’allestimento di un carro maggiore (a forma di vascello)

foto di Jan-Luc Moreau
e altri carri minori,

foto di Jan-Luc Moreau

in stile barocco, che con figure allegoriche mostravano la sconfitta della peste, il bene che trionfa sul male.



Negli anni a venire è sempre più atteso il nuovo carro e tutto il suo allestimento, gli spettacoli (armonia tra il sacro e il profano) che accompagnano l’evento che si svolge dal 10 al 15 luglio, la processione (dove di fondamentale importanza che il Sindaco ad un certo punto urli “Viva Palermo e Viva Santa Rosalia”, gli si perdonerebbe tutto, ma non l’assenza di questo slogan) e soprattutto i “giochi di fuoco” della notte del 14 luglio, dove si raggiunge l’apice della festa in tutte le sue espressioni più folkloristiche.

I festeggiamenti cominciano già dal 10 luglio. Al Foro italico vengono allestite bancarelle decorate con le immagini tipiche dei carretti siciliani, e in tutto il percorso della processione vengono poste delle splendide luminarie (l’archi).


Ma il giorno da tutti atteso è il 14 Luglio, giorno in cui comincia la processione, che si trasforma in un vero e proprio spettacolo teatrale, con musica e danze, che parte dalla Cattedrale, attraversa i Quattro Canti e tutto il Cassaro fino ad arrivare al foro italico dove il tripudio sarà dato dagli spettacolari giochi d’artificio che durano un’ ora circa, lasciando tutto il pubblico senza fiato.

Mi è capitato alcune volte di partecipare a questo evento. L’impatto è incredibile, moltissime persone, oltre quelle che già partecipano a tutta la sfilata, che inizia alle nove di sera circa, si riversano direttamente al Foro italico, tutta la città è bloccata, le macchine vengono lasciate persino a centro strada, sembra un esodo,
migliaia di persone che compresse tra loro cercano di raggiungere un luogo in cui vedere bene i fuochi d’artificio.

Arrivati al Foro Italico quello che si vede è una marea di gente che durante l’attesa si diletta a mangiare tutto ciò che di più tradizionale si può trovare nelle tantissime bancarelle, perchè come sempre ogni occasione è buona per riempire lo stomaco.

In primo luogo nessuno rinuncerebbe a mangiare la “calia e semenza”, che è come una sorta di ritualità, di passatempo. Si acquista dal semenzaro un “coppitello” (un contenitore creato avvolgendo della carta su se stessa) ripieno appunto di ceci abbrustoliti e semi di zucca con sale, e si comincia a sgranocchiarli e lanciare con estrema soddisfazione le bucce per terra.

Ma i semenzari vendono infinite altre delizie e la scelta per i golosi è vasta: pistacchi, arachidi, noccioline, cruzziteddi (castagne), luppini (lupini bolliti), fave, etc.

Oltre il passatempo appena descritto, che viene anche detto “u scaccio”, ovvero tutte le leccornie che però non rappresentano un vero e proprio mangiare, ci sono gli immancabili sfincionelli, pane panelle e crocchè, panino con milza, salsiccia arrostita, polpo vugghiutu, ricci ed infiniti dolciumi, dal gelato a tutta una serie di “dolci da strada” venduti nelle enormi e decorate bancarelle dei “caramellari”.

Una varietà di dolciumi a base di zucchero caramellato e vari ingredienti quali i semi di “cimino” (sesamo), mandorle, nocciole, bomboloni di zucchero e cannella, la cubarda (dolce di zucchero duro venduto a tocchetti), il gelato di campagna (un dolce di zucchero, pistacchio ed essenza di fragola, dal colore verde, bianco e rosso, che riecheggia il giardinetto, il gelato inventato per l’arrivo di Garibaldi). E poi la frutta più adatta per l’evento, ovvero i fichi d’india e u muluni.

Ma la specialità più tipica del giorno, quella che è un perfetto intreccio tra il mangiare e il passatempo, quella a cui i veri palermitani doc non rinuncerebbero mai per festeggiare la santuzza, sono i babbaluci (lumache condite con olio, prezzemolo e aglio). Vengono vendute in ceste, servite in piattini di plastica e consumate con tanto di “scrusciu” (rumore dato dal necessario risucchio), immancabile lancio delle chiocciole e un’infinità di soddisfazione per i cultori di questa sorta di ritualità gastronomica.


L’immagine più affascinante che si può godere partecipando a questo evento è quella di una serie di tavolini imbanditi nei luoghi più stravaganti, perchè per godere dei giochi di fuoco sgranocchiando tutto ciò sopraelencato, bisogna trovarsi un posto d’onore, una sorta di trono rialzato, per non trovare come capita al cinema, qualcuno più alto di te che ti impedirà di godere dello spettacolo. E se non tutti possono permettersi di guardare dall’alto delle meravigliose terrazze di Palazzo Butera o di altri palazzi nobiliari, dove solo l’elite può accedere, l’ingegno è ancora concesso, e quindi la gente del così detto “popolino” allestisce e imbandisce i propri tavoli sulle motoapi, su furgoncini e tutto ciò che possa garantire un’ ottima visione.


Durante il festino oltre al cibo, si trova anche l’occasione per incontrarsi, per innamorarsi, anche soprattutto per litigare. Si invoca la santa e si attende una grazia. Si beve vino, si gioca a carte, si urla, si chiacchiera e soprattutto si getta ogni rifiuto per terra.


E poi finalmente arriva il momento più atteso, i “botti”, i fuochi d’artificio. Diverse ditte si sfidano tra loro, è una magia di colori, di rumori assordanti, di cuori che battono all’impazzata, di sguardi fissi al cielo, improvvisamente il vocio della gente si ferma del tutto, per ascoltare un frastuono quasi assordante, l’emozione è palpabile, grandi e bambini sono accomunati da un senso di meraviglia, un momento di tensione e di scarica elettrica, forse si dimenticano le tragedie quotidiane, la disoccupazione, l’assenza di case, le vessazioni, le liti familiari, fino alla “masculiata”, che è il momento di maggiore intensità dei botti, e poi un istante di silenzio assordante, ma tutti sanno che ci sarà un ultimo fortissimo tuono, e poi l’abbandono in un applauso liberatorio, la festa è finita e la vita ricomincia...
U’ FISTINU

Tutti l’anni arriva lu’ Fistinu
e Palermu s’azzizza a festa,
si conzanu putii pi’ li stratuzzi
c’è cu’ vinni muluna, babbaluci e vinu,
cu’ sfinciuni e pruvulazzu
oppuru stiarini e marunnuzzi.
Quannu passa la vara pi’ li strati
chiancinu tutti li’ devoti
e chiddu ca’ prima ha bistimmiatu,
si fa lu segnu di la cruci
si metti a ginucchiuni
e si batti lu’ pettu pi’ essiri grazziatu.
Doppu la menzannotti
botti, murtareddi e jocu di focu
c’è cu’ s’ammuccia dintra na’ stratuzza,
cu’ si fa zitu e cu’ si sciarria,
cu’ curri e s’allavanca
e di cori, riri puru la Santuzza.
Poi la matina ‘nta li strati
c’è munnizza e grascia
e pi’ l’aria c’è tanfu di lurdia,
ma a nuddu ‘mporta,
Palermu è sempri viva
e puru Santa Rusalia.
poesia di Emilia Merenda
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